Abbonamenti Digitali: il vincitore prende tutto

Possiamo quindi trarre una prima conclusione da questi 10 anni di abbonamenti digitali: siamo in presenza di un settore industriale dove il “vincitore prende tutto”

L’estate, si sa, è tempo di riflessione e di indagine con i suoi pomeriggi dilatati e il distante sottofondo di crisi di governo. Vale la pena allora, espandere l’analisi del principale argomento che sottende al futuro del comparto industriale dei media per come lo conosciamo, cioè la prospettiva dell’abbonamento digitale come pilastro del conto economico capace lentamente di sostituire o quantomeno integrare il tradizionale duopolio di pubblicità e circolazione.

Già nelle precedenti rubriche avevo affrontato due delle principali evidenze di questi primi dieci anni di concreta applicazione del modello, introducendo due nozioni: individui e famiglie tendono a spendere costantemente di più in informazione ed intrattenimento, ma la competizione all’interno di questo settore è aumentata e mette nello stesso campionato editori tradizionali e nuovi protagonisti come Netflix, Disney+ o Spotify. Come conseguenza, forse, il numero di individui o famiglie che ha più di un abbonamento digitale a un editore locale o nazionale di informazione è pari allo zero. I dati sembrerebbero confermare che il consumatore sceglie di pagare una sola testata per un coacervo di motivazioni: la qualità dei contenuti, l’identità culturale con la visione editoriale di fondo, l’efficienza del sistema tecnologico di distribuzione rispetto a molteplicità di apparati e modi d’uso, il costante lavoro di ingaggio e comunicazione del team editoriale e commerciale, la frequenza di innovazione nel prodotto, tutti elementi che, in poche parole, confermano al lettore il valore del suo investimento su base quotidiana.

Nel corso di questi primi dieci anni di abbonamenti digitali, le grandi nazioni del mondo, con una leggera oscillazione tra le più alfabetizzate e le meno alfabetizzate, presentano penetrazioni del mercato abbastanza omogenee, 11% della popolazione adulta, con picchi al 16% negli Usa e al 14% nei paesi Scandinavi. Negli Stati Uniti, contando gli ultimi 5 anni, la spesa media per intrattenimento e informazione è cresciuta del 12%, il doppio della crescita media dei salari nello stesso periodo. Però in questo paniere la parte del leone la fa la spesa per la fruizione di contenuti video, cresciuta del 17,5% soprattutto nelle fasce a reddito ed educazione più alta. In Svezia, ad esempio, società prona a pagare per i contenuti e a utilizzare il digitale, le statistiche del 2017 ci confermano il contesto competitivo e il relativo peso dell’informazione rispetto all’intrattenimento con il 39% di spesa dedicato alla connettività, il 32% allo streaming video e l’8% all’informazione, pari a letteratura e superiore ai giochi elettronici (5%) e alla musica (4%). 

Percentuali simili si riscontrano su tutto il panorama Europeo e, se escludiamo il mercato della pay tv, si tratta di spesa interamente nuova che assorbe tutta la crescita della spesa media di individui e famiglie e anche un consistente pezzo di quella precedentemente allocata a media più tradizionali, inclusi cinema e informazione. Se poi aggiungiamo al quadro di spesa anche la connettività, il quadro che ci si pone di fronte è quello di una crescita esponenziale del costo medio dell’informazione e dell’intrattenimento a fronte di un tasso modesto di crescita del salario e dell’inflazione. E’ spesa sostitutiva rispetto a precedenti modelli e certamente in competizione con tutti gli altri settori di consumo. 

L’aspetto competitivo si intensifica ulteriormente se guardiamo gli apparati o comunque i supporti distributivi che sottendono a questo vertiginoso incremento del consumo di intrattenimento e informazione. Negli ultimi 10 anni il tempo speso ogni giorno a leggere quotidiani e riviste è sceso di circa il 50%, nello stesso tempo l’uso degli apparati mobili è cresciuto del 400% e oggi occupa circa il 34% del tempo speso per informarsi o intrattenersi in tutte le nazioni industrializzate. In conseguenza, l’attenzione degli investitori pubblicitari ha seguito lo stesso percorso, riducendo sensibilmente la spesa su supporti cartacei e sul digitale fruito da computer fisso, per aumentare la quota mobile fino a coincidere, nel 2018, con l’allocazione di tempo speso dagli individui, cioè il 34% del totale. Accidentalmente, se il processo di allineamento tra tempo speso e pubblicità raccolta dovesse diventare regola, la carta stampata dovrebbe affrontare una ulteriore contrazione del 50% nei suoi fatturati pubblicitari.

Possiamo quindi trarre un primo nucleo di conclusioni da questi 10 anni; la prima è che la possibilità di lettori con multiple sottoscrizioni digitali a servizi di informazione è remota e quindi siamo in presenza di un settore industriale dove il “vincitore prende tutto”. La seconda è che la competizione per una torta che cresce in termini di tempo d’uso e di denaro speso, non è solo con chi fa lo stesso mestiere, ma anche con chi offre connettività e intrattenimento. La terza è che, in un ambiente così competitivo il pericolo della disaffezione è sempre forte e, quindi, abbonare un individuo è solo un terzo della fatica. Gli altri due terzi sono il costante lavoro di ingaggio, di innovazione e di rafforzamento del valore dell’abbonamento che tengono affezionato il cliente. Un lavoro che richiede forme di talento e di organizzazione industriale che oggi i media tradizionali fanno ancora molta fatica ad abbracciare (e attrarre).

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