Diritto D’Autore, Salsiccia in salsa Europea

Il monopolio dei giganti tecnologici nella pubblicazione e distribuzione dei contenuti non si indebolisce cercando di ricostruire il monopolio della produzione industriale di contenuti a discapito dei singoli; si indebolisce, come accadde per le telecomunicazioni negli anni ’80, colpendo le posizioni dominanti e forzando la frantumazione dei modelli di business integrati.

Il 21 di Gennaio scade la proroga concessa per le negoziazioni trilaterali in Commissione Europea. Le negoziazioni trilaterali tra Commissione Europea, Parlamento Europeo e Consiglio Europeo per la stesura finale del regolamento sul copyright sono arrivate alla fine. Come dice il detto americano, non si domanda mai come si fanno le salsicce o le leggi, ma in questo caso è lecito chiedere come si è arrivati a questa nuova regolamentazione. Se le indiscrezioni che vengono da Bruxelles fossero confermate, il documento che verrà sottoposto in aprile al voto vincolante del Parlamento confermerebbe i controversi articoli 3, 11 e 13 e il mancato consenso all’esenzione per i lavori di parodia o i contenuti cosiddetti “sincretici”, aprendo scenari per nulla positivi per il digitale europeo. 

L’articolo 3 comprende il cosiddetto divieto al “text and data mining” cioè alla costruzione di agenti informatici dediti alla copia e organizzazione sistematica delle informazioni presenti sui siti. Una pratica che il Consiglio ritiene in violazione dei diritti di chi quei testi o quei dati ha raccolto o pubblicato, ma che è alla base dei processi di costruzione delle intelligenze artificiali e della loro programmazione effettiva. Nel corso della negoziazione sono state fatte delle concessioni così che la pratica venga permessa agli istituti di studio e di ricerca scientifica, ma questa eccezione viene a cessare se, per esempio, il team di studio diventa una start-up nel campo della robotica. In assenza di una reciprocazione nell’ordinamento nord-americano o asiatico, questo punto rappresenta un impedimento competitivo per il settore Europeo dell’intelligenza artificiale.

L’articolo 11 prevede il cosiddetto equo compenso del link: il nuovo regolamento determinerebbe un contesto in cui ciascuna piattaforma di pubblicazione o condivisione di contenuti non può usare a titolo gratuito più di una parola per indicare il link a informazione o intrattenimento prodotto da terzi. Non sarebbe possibile, in altre parole, continuare nella pratica odierna dello “snippet” ossia del link rappresentato da titolo e foto o da una frase finita; questo tipo di condivisione sarebbe legittimo solo se chi lo pubblica ha siglato con il detentore dei diritti di sfruttamento un accordo di remunerazione commerciale.

Si presenta un possibile scenario restrittivo; non tutte le piattaforme, infatti, saranno in grado di concludere accordi quadro con tutti i produttori di contenuto e tenderanno quindi a privilegiare un numero definito di editori e di loro contenuti censurando, di fatto, tutti gli altri. La misura impatta anche il mondo dei blog e dei siti personali, spesso costruito sulla circolarità della informazione, cioè sul commento a un contenuto o a una opinione prodotta da altri. Nel nuovo scenario non è chiaro se gli autori di questi blog o le piattaforme di pubblicazione che li ospitano dovranno egualmente remunerare link o riferimenti estesi ai contenuti che l’utente commenta o cita. Rispetto a questo punto, nella discussione di questi mesi sono state introdotte due possibili esenzioni: a) per piattaforme non a scopo di lucro o di piccole dimensioni e, b) per utenti che caricano il contenuto non a scopo di lucro. Soprattutto la seconda condizione è fortemente restrittiva dato che basterebbe ospitare pubblicità sul proprio blog per violare questa dispensa.

Il piatto forte della discussione è l’Articolo 13, che determina la responsabilità diretta della piattaforma tecnologica che pubblica o indirizza il traffico verso un contenuto colpevole di una violazione del diritto di sfruttamento dell’opera di ingegno. Le piattaforme di pubblicazione hanno quindi l’obbligo di vigilanza sui contenuti che pubblicano o, alternativamente, l’obbligo di istituire accordi contrattuali con tutti i possibili detentori di diritti per dare loro giusto compenso. La seconda opzione è, come già detto, impossibile data la pluralità dei produttori innescata dalla rivoluzione digitale, la prima introduce un futuro in cui, per evitare le sanzioni economiche, le grandi piattaforme introdurranno filtri automatici e inibizioni alla pubblicazione di contenuti che saranno restrittive rispetto alla libertà di espressione e alla creatività.

Inoltre, la costruzione e la manutenzione di intelligenze artificiali capaci di riconoscere ed inibire la pubblicazione di contenuti che riproducono opere di ingegno non licenziate dalla piattaforma stessa o dall’utente che pubblica, richiede investimenti ingenti. Si parla di circa 300 milioni di dollari l’anno. Un costo che restringerebbe ulteriormente per i piccoli la possibilità di sfidare i colossi digitali americani nelle loro posizioni di monopolio. 

Regolamentare la sfera digitale è difficile, impossibile se lo si fa per slogan e non per competenza; per come è scritto oggi e per quello che emerge dalle indiscrezioni di Bruxelles, il contesto che deriverebbe dall’impianto del regolamento sul Copyright sarebbe certamente premiante per le major musicali e per gli editori industriali, consolidando allo stesso tempo la barriera di ingresso al mercato a vantaggio delle grandi piattaforme tecnologiche. Viceversa, sarebbe restrittivo per il singolo contributore, cioè per l’utente che posta contenuti sulle piattaforme o che tiene un suo blog personale.

A mio giudizio, in questo caso, la cura è peggiore del male e comunque porta la discussione su una dimensione sbagliata; il monopolio dei giganti tecnologici nella pubblicazione e distribuzione dei contenuti non si indebolisce cercando di ricostruire il monopolio della produzione industriale di contenuti e intrattenimento a discapito dei singoli; si indebolisce, come accadde per le telecomunicazioni negli anni ’80, colpendo le posizioni dominanti e forzando la frantumazione dei modelli di business integrati in unità nettamente distinte e competitive tra loro; non permettendo, per esempio, a un solo attore di gestire le piattaforme di pubblicazione, sviluppare gli algoritmi di visibilità dei contenuti e di vendere anche la pubblicità. 

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