Legiferando sull’ignoto

Come forse alcuni di voi ricorderanno, avevo espresso molte perplessità sul disegno finale di riforma delle leggi di protezione del diritto di autore approvate dal parlamento Europeo all’inizio del 2019. A suggerire un giudizio negativo erano soprattutto i contenuti ed il linguaggio di 3 articoli: il terzo, l’undicesimo e il tredicesimo; articoli che, complice anche la scarsa dimestichezza tecnologica del legislatore, presentavano riferimenti quantomeno ambigui, se non direttamente in contrasto con l’interesse di utenti e creativi digitali. I forti impedimenti al data mining contenuti nell’articolo 3, ad esempio, costituiscono un vincolo all’industria europea dell’intelligenza artificiale, così come la vaghezza del linguaggio legato all’implementazione dell’equo compenso del link o della responsabilità di caricamento delle piattaforme finiscono per dare più potere ai colossi USA piuttosto che più fatturato agli editori europei.

Nonostante l’opposizione di una buona fetta del mondo digitale, la normativa è stata approvata dal parlamento europeo, seppure con un margine ristretto (53% vs. 47%), con l’obbligo, per i paesi membri dell’Unione, di ratificare – con libertà di chiarificare i meccanismi operativi rispetto ai mercati nazionali – entro due anni, cioè entro il 2021. Il 23 luglio di quest’anno la Francia è stata la prima nazione a introdurre il testo nel suo ordinamento; lo ha fatto senza cambiarne il linguaggio tra fanfara e gran cassa del gotha dell’editoria nazionale. Editori e piattaforme hanno, ora, fino alla fine di ottobre per definire contratti commerciali di sfruttamento della loro proprietà intellettuale, altrimenti il governo stesso ha il potere di delineare linee guida obbligatorie.

Il primo passo lo ha fatto Google, che ha annunciato di non avere intenzione di remunerare gli editori per la pubblicazione di “snippet” – piccoli estratti di contenuto – nei risultati di ricerca o nell’applicazione Google News. Il colosso di Mountain View ha scelto di non siglare contratti commerciali di sfruttamento con consorzi o singoli editori, ma di lasciare questi ultimi liberi di decidere quanto contenuto pubblicare nei risultati di ricerca e su Google news. Gli strumenti messi a disposizione degli editori, infatti, prevedono che questi ultimi scelgano se distribuire sulla piattaforma estratti che vadano oltre il titolo e la foto. Se si opta per il si, automaticamente gli editori conferiscono un titolo di sfruttamento gratuito alla piattaforma di Mountain View. Se si opta per il no, i contenuti non saranno penalizzati dagli algoritmi che producono i risultati della ricerca ma saranno visualizzati con un più primitivo link con foto ridotta, senza estratto; forma che la normativa francese riconosce come gratuito. Il colosso americano ha anche aggiunto che, naturalmente, gli editori che opteranno per il no possono aspettarsi una contrazione in misura minima di circa il 45% del traffico sulle proprie pagine. La decisione si applica a tutti gli editori europei che distribuiscono i loro contenuti sul territorio francese.

Si tratta di una soluzione simile a quella che Google aveva adottato in Spagna (dove però aveva anche chiuso Google News) e in Germania lo scorso inverno, quando i governi di Madrid e di Berlino avevano sperimentato una legge di protezione dei diritti d’autore simile all’impianto della direttiva europea. Il traffico sui siti degli editori generato dalle applicazioni e dalla ricerca del colosso USA era diminuito di oltre il 70%. In particolare, il regime volontario proposto da Google tende a costruire un forte incentivo alla gratuità, in quanto può ridistribuire velocemente la quota di traffico persa da chi resiste verso chi, invece, accetta di mostrare gratuitamente i propri contenuti, consolidando cambi di peso sul mercato a grandissima velocità. Spesso a favore di editori meno ligi ai canoni del giornalismo indipendente o, in certi casi, direttamente legati alla diffusione di notizie false. Nei due casi precedenti, Spagna e Germania, dopo un paio di mesi, tutti gli editori hanno ripreso a mostrare estratti a titolo gratuito.

In Francia, il dibattito ha già preso la sua forma tradizionale, con gli editori che gridano al ricatto e sostengono che il consumo di materiale da loro prodotto sulle pagine di Google o Facebook “costa” loro oltre 300 milioni l’anno in mancati ricavi. Le grandi piattaforme controbattono mostrando come gli snippet portino su base annua oltre 8 miliardi di visite sulle pagine degli editori europei; dati alla mano, nel 2018, Google può dimostrare che, tra traffico e uso delle proprie tecnologie pubblicitarie, ha generato su scala globale 14,5 miliardi di dollari di fatturato per gli editori.

Il linguaggio poco preciso e la sostanziale ignoranza tecnologica del legislatore e dei lobbisti al soldo dell’editoria tradizionale europea, hanno, come da molti previsto, generato ulteriore confusione nel mercato. Confusione che, alla fine, non gioverà agli editori, meno che mai agli editori professionali, andando a rafforzare l’egemonia di chi occupa il campo dell’informazione digitale in forma già dominante proprio in virtù di una asimmetria di competenza tecnica. A fronte di questa asimmetria, si stanno saldando gli interessi delle piattaforme a quelli di editori minori, con agende etero dirette e fonti di finanziamento che li possono rendere più aggressivi commercialmente, fattori che descrivono l’intera industria della disinformazione. Non certo il risultato che il legislatore europeo si augurava; rimane la speranza che i singoli paesi, al contrario della Francia, usino il processo di ratifica per introdurre concretezza e competenza nel linguaggio delle norme.

 

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