La pigrizia della BBC

La globalizzazione avanza e anche la diffusione maliziosa di notizie false ha raggiunto status di fenomeno planetario. Nelle ultime settimane di Novembre la lotta alla disinformazione e ai “deep fake” video ha accomunato la solida repubblica di Singapore, la totalitaria Cina, il fragile Gabon e il populista Brasile. Tutti Stati accomunati dall’impatto che il crollo dei costi della disinformazione – e la sua crescente sofisticazione tecnologica – stanno avendo sul discorso collettivo delle nostre società. Bastano, infatti, poche centinaia di dollari per costruire contenuti video perfettamente credibili e distribuirli a milioni di persone con sistemi che accuratamente selezionano lettorati suscettibili a quella specifica informazione. Disinformare non è più un gioco solo alla portata di grandi nazioni o multinazionali egemoniche, il digitale ha democratizzato la pratica rendendola disponibile anche a chi ha mezzi personali molto più modesti.

In questo quadro generale, risuona ancora più rilevante l’inchiesta che il Guardian sta portando avanti sulla BBC e sulla sua crisi di credibilità.

In buona sostanza, la credibilità della veneranda istituzione inglese è ai suoi minimi storici, con il pubblico deluso dalla incapacità della redazione e dei singoli giornalisti di andare oltre le dichiarazioni dei politici e soprattutto di quelli governativi, evitando regolarmente di confrontarsi con loro su dichiarazioni che si rivelano puntualmente parziali o false, soprattutto su Brexit. Il Guardian ha parlato, spesso in forma anonima, con quasi tutte le grandi firme e la redazione della BBC e ha trovato, un pò ovunque, una conferma dei sospetti del popolo britannico. L’approccio prevalente verso i politici e le loro dichiarazioni, soprattutto quelli al governo, era di rispetto e diffusione, senza alcun incentivo verso il fact checking o il contraddittorio anche in caso di palese falsità. A ulteriore rafforzamento del concetto, alcuni redattori erano stati discretamente demossi per aver avuto atteggiamenti eccessivamente inquisitivi verso membri del governo uscente proprio su Brexit, mentre era stata pubblicamente censurata una giornalista di colore che si era lamentata per il trattamento di Meghan Markle “che sapeva e sa di razzismo”.

Il concetto di distribuire senza fare fact checking è esattamente quello che sta unendo l’intera politica Americana contro Facebook, che ha frantumato il fronte di Big Tech separando la grande F Bianca da Google e Twitter che hanno invece vietato le pubblicità politiche e rafforzato i controlli (anche umani) sulle dichiarazioni dei politici stessi. Spesso proprio il concetto di informazione verificata è stato alla base delle richieste di protezione e intervento pubblico da parte del giornalismo tradizionale, auto dipintosi come guardiano della verità. La BBC non è certo una organizzazione secondaria in questo panorama, anzi il proprio ricco finanziamento pubblico e la sua reputazione globale le danno un ruolo primario nel dibattito mondiale sull’informazione. Scoprire che essa stessa è stata, non meno di Facebook, distributrice di fake news, rinforzo di bias razzisti e sostanzialmente incapace di fare la sentinella della verità rispetto al potere indebolisce sostanzialmente la fiducia del pubblico e il richiamo a una difesa collettiva del giornalismo tradizionale.

Il ruolo dei giornalisti e dei media tradizionali nella discesa degli standard del discorso collettivo dei nostri tempi è spesso sottovalutato; la mancanza di fiducia del grande pubblico nelle fonti tradizionali dell’industria delle notizie non è solo legata alla forza tecnologica di impatto del falso digitale, ma anche all’erosione spesso sostanziale della credibilità delle alternative. Troppo spesso l’epica del giornalista alla ricerca della verità contro l’establishment ha nascosto una prosa in cui il giornalista e l’editore sono dominati da una familiarità con l’establishment, in cui la pigrizia economica dominante del modello digitale ha portato a inseguire algoritmi di popolarità e non di qualità. Sono tutti fattori che hanno eliso la differenza tra vero e falso, tra credibile ed incredibile. Nel discorso collettivo dei nostri anni traffico e condivisioni sono misure economiche, rappresentazione plastiche del successo o insuccesso di un pezzo di informazione, e sono misure che del vero o del credibile sono sostanzialmente indifferenti. Se appare naturale che le società media di mercato, quelle private, debbano in qualche modo inseguire le fonti di fatturato e adattarsi al cambio di paradigma della pubblicità e del pubblico, il fatto che anche le società pubbliche finanziate dai cittadini, che dovrebbero essere protette da queste dinamiche e agire in una ottica di servizio al discorso pubblico, cedano a queste forze non fa che indebolire ulteriormente il ruolo che verità e controllo hanno nel nostro presente, più di quanto faccia, a mio giudizio, un algoritmo sbagliato di una piattaforma social.

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