Colpi di cannone nella guerra tra Trump e la Cina. Prime vittime collaterali in tutto il mondo, soprattutto in Europa, a mostrare come il tema della sovranità nazionale (e persino continentale) sia ormai una vera e propria reliquia di un tempo economico che non è più.

Dalla metà di maggio, Huawei si è vista revocare da Alphabet (la holding che possiede Google) la licenza per utilizzare il sistema operativo Android nella sua versione professionale. La revoca è scattata per rispettare le disposizioni imposte dall’amministrazione USA contro le aziende considerate minaccia per la sicurezza nazionale. Il provvedimento prevede il divieto di acquisto e uso di beni e servizi prodotti da entità controllate da “avversari stranieri” che siano in grado di “creare il rischio di sabotaggio o infiltrazione nelle infrastrutture americane.” Il dipartimento del commercio ha facoltà di stendere la lista di questi “avversari stranieri,” che non ha categorie prestabilite ed è ad oggi popolata da aziende cinesi. Geoffrey Stark, Commissioner della FCC, l’ente di sorveglianza del mercato TLC americano, aveva già negato a China Telecom una licenza per operare negli USA in aprile e, in una recente intervista a The Verge, ha confermato che la medesima richiesta da parte di China Unicom dovrebbe avere lo stesso risultato. Il pericolo per la sicurezza nazionale costituito dall’uso di tecnologie cinesi nella formazione delle reti di comunicazione è, a suo giudizio, reale e merita una indagine immediata da parte dell’ufficio di sicurezza nazionale. Stark ha concluso suggerendo il divieto per tutte le telco che percepiscono fondi federali di comprare equipaggiamenti o servizi da Huawei o ZTE.
La direttiva doveva essere annunciata prima del Congresso Mondiale del Mobile di Barcellona (febbraio), ma è stata ritardata per favorire le trattive commerciali con il governo cinese. Le trattative sono fallite recentemente, aprendo le porte all’attacco di queste settimane. ZTE ha sofferto le prime conseguenze, ricevendo una sostanziosa multa ma evitando la lista nera, a seguire Huawei è stata esplicitamente messa nella lista nera del dipartimento del commercio americano, innescando di fatto un divieto assoluto al commercio. Le aziende americane non potranno più comprare prodotti o servizi di Huawei e non potranno vendere a Huawei i propri prodotti e servizi. Oltre a Alphabet e la revoca della licenza di Android, Intel, Qualcomm, XilinX e Broadcom non venderanno i loro chip a Huawei. L’inasprimento dell’atteggiamento del governo USA è seguito ad una fantomatica indagine della Homeland Security che avrebbe rivelato l’esistenza di porte segrete (backdoors) nel software che governa i prodotti di queste società, porte che potrebbero essere usate per copiare dati e ottenere accesso ai sistemi. Questa indagine non è mai stata resa pubblica e contrasta con i test pubblici passati in tutta l’Unione Europea e in altre nazioni del globo dai prodotti del colosso cinese.
Huawei è una società privata, non partecipata dal governo di Pechino, che vende apparati e servizi di telecomunicazione a operatori in tutto il mondo; gli smartphone sono solo una parte dei 108 miliardi di dollari di fatturato conseguiti nel 2018. Dopo Samsung, Huawei è il principale partner di Google nel mondo dei telefoni e questo status ha permesso fino ad ora alla casa cinese di usare i rilasci aggiornati della piattaforma, migliori in termini di sicurezza e performance. Con il ritiro della licenza, i prodotti Huawei potranno utilizzare solo la versione open source di android, priva di tutto il software proprietario realizzato da Google e dell’Android store con il suo ecosistema di applicazioni.
Una limitazione che tocca consumatori in tutto il mondo tranne in USA, dove Huawei non vende più smartphone dal 2018 a fronte di precedenti schermaglie con l’amministrazione Trump. Le proteste di utenti e telco globali ha indotto il governo USA a concedere a Alphabet la possibilità di dare una moratoria a Huawei, segnando la data ufficiale per la sospensione della licenza al 19 Agosto per minimizzare gli effetti negativi sui clienti. Huawei dovrà sviluppare un proprio sistema o a trovare accordi con qualche produttore di sistemi operativi non americano. Rimane comunque il bando a vendere software e equipaggiamento alle telco USA che potrebbe causare alla società cinese un danno economico eguale se non superiore alla revoca Google. Danno che il mercato USA ha scontato anche sui suoi titoli tecnologici, flettendoli sensibilmente. I piccoli e medi operatori di telecomunicazione americani stimano in un aumento di circa il 25% dei loro costi l’effetto diretto del divieto di acquisto.
Si è tentati di leggere in questi sviluppi il corpo della lotta commerciale tra Pechino e Washington, ma la realtà è più articolata e il fatto che negli USA Huawei non sia una marca di smartphone, ma un produttore di equipaggiamento e software per le reti, suggerisce altro. Da alcuni mesi le agenzie di sicurezza americana sono coinvolte, di fatto, nel tentativo di mettere in sicurezza quella che in gergo si chiama “la supply chain” del mercato USA; infatti le infrastrutture tecnologiche e informatiche del mercato più innovativo del mondo, dai cavi alle antenne, dagli smartphone ai router, richiedono prodotti e servizi che provengono da centinaia di paesi. Spesso le società americane, e il loro governo, compratori ultimi del bene o del servizio, non hanno idea di cosa sia dentro a ciò che comprano e sostengono che dentro ci siano cavalli di troia, porte segrete e duplicatori che favoriscono gli attacchi informatici, il furto di dati e di proprietà intellettuale e la possibilità di intervento malizioso a distanza. Il vantaggio economico e tecnologico legato alle proprietà intellettuali digitali è la chiave della supremazia americana, la vulnerabilità delle sue infrastrutture potrebbe esserne la fine.
L’Unione Europea ha già agito a riguardo con regole molto severe per gli appalti (almeno quelli pubblici) e crescenti livelli di certificazione per i privati attivi nelle infrastrutture; gli USA, da sempre più affini a mercati autoregolamentati, hanno per ora maggiori porosità. In questa luce, più che nel contesto della guerra commerciale, vanno letti il blocco degli acquisti a Huawei, la mancata licenza a China Telecom o la multa a ZTE. Forse anche la reazione, finora tutto sommato misurata, del governo cinese e delle sue aziende.